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Tribunali Emilia-Romagna > Permessi
Data: 17/10/2000
Giudice: Brusati
Tipo Provvedimento: Ordinanza
Numero Provvedimento:
Parti: Fabbiani / INPS / Chiesi Farmaceutici SpA
TRIBUNALE DI PARMA - PERMESSI PER ASSISTENZA A FAMILIARI PORTATORI DI HANDICAP - CONDIZIONI DI FRUIBILITA'


Una lavoratrice che ha un fratello convivente handicappato grave chiede di poter fruire dei permessi - 3 giorni al mese - di cui all'art. 33, 3° comma legge 104/92. L'INPS respinge la richiesta assumendo che a tale assistenza può provvedere la madre dei due giovani, che non lavora. La lavoratrice reclama in via amministrativa, deducendo, fra l'altro, che la di lei madre provvede anche all'assistenza dei suoi suoceri, pur'essi conviventi, rispettivamente di 93 e 92 anni (ed uno, anzi, titolare di indennità di accompagnamento); ma l'INPS riconferma il diniego. Da qui il ricorso giudiziale d'urgenza (contestuale al ricorso ex. Art. 414 c.p.c.). Il Tribunale respinge le tesi dell'INPS osservando che nell'art. 33, 3° c. della legge 104/92 "non vi è … il benchè minimo riferimento alla presenza/assenza di altri familiari che siano perfettamente in grado di assolvere all'obbligo di assistenza" in questione. Il "riferimento all'esclusività" dell'assistenza dell'handicappato compare, invece, nell'art. 20 della legge n. 52/2000 che però, "pare collegare lo stesso alla fattispecie … in cui manchi un rapporto di convivenza tra il lavoratore e la persona portatrice di handicap"; e ciò in via estensiva rispetto al regime dettato dalla legge 104/92. Dall'altra parte, aggiunge il Tribunale, per negare ragionevolmente i permessi occorrerebbe che l'altro familiare convivente fosse "persona … in grado di assicurare da sola perfettamente e quindi in via continuativa tutti i giorni dell'anno … (la) assistenza di cui ha bisogno" l'handicappato; e ciò, nella fattispecie, deve negarsi sia per la gravità dell'handicap sofferto dal fratello della lavoratrice, sia per la necessità della di lei madre di prestare assistenza anche ai due suoceri ultranovantenni. Di qui l'accoglimento del ricorso, onde evitare alla lavoratrice il danno irreparabile costituito dalla necessità in cui la lavoratrice verrebbe a trovarsi, per non "sottrarsi al suo dovere di assistenza nei confronti del fratello", di "sacrificare il suo diritto alle ferie … con conseguenti negative ripercussioni sul suo stato psicofisicos




Tribunali Emilia-Romagna > Permessi
Data: 12/11/2009
Giudice: Ponterio
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento:
Parti: Chiavieri + 3 / Teorema Bologna s.r.l.
DIRITTO A DUE ORE DI PERMESSO GIORNALIERO AI SENSI DELLA LEGGE N. 104 - PREVALENZA DELLE ESIGENZE DI SALUTE SU QUELLE ORGANIZZATIVE - LEGITTIMAZIONE PASSIVA: MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA


Art. 700 c.p.c

Art. 33 commi 2 e 6 legge 104/1992

Art. 10, comma 2, legge 68/1999

 

La signora C.,invalida civile al 100% ed in condizione di handicap grave,  dopo aver promosso procedimento cautelare ex art. 700 cpc ottenendo il provvedimento richiesto, introduceva il giudizio di merito ex art. 669 octies e seg. Cpc, convenendo in giudizio il MIUR e le altre amministrazioni scolastiche al fine di far accertare il proprio diritto alla concessione di due ore di permesso giornaliero ex art. 33 commi 2 e 6 legge 104/1992, con conseguente riduzione dell’orario di lavoro, originariamente fissato dalle 8 e 30 alle 14 e 30, dalle 8 e 30 alle 12 e 30. Tale richiesta veniva motivata con riferimento alle proprie certificate condizioni di salute ed alla attestata necessità di svolgere quotidianamente riabilitazione per due ore  e di poter godere dopo di un adeguato periodo di riposo richiesto dalle patologie da cui risultava sofferente, che il rientro al lavoro non le avrebbe invece consentito.

Il dirigente scolastico accoglieva la domanda  limitatamente alla riduzione di due ore dell’orario giornaliero; la respingeva invece con riferimento alla collocazione temporale dei permessi dalle 12 e 30 alle 14 e 30, adducendo esigenze di servizio e modificando anzi il suo orario di lavoro fissandolo, in un primo momento dalle 11 alle 15 e poi dalle 10 e 30 alle 14 e 30.

Il giudice, con la sopraindicata sentenza,  dichiara innanzitutto il difetto di legittimazione passiva dell’’USR, dell’USP e del Dirigente dell’Istituto di Istruzione Superiore, in quanto ai dirigenti delle istituzioni scolastiche competono per legge poteri limitati all’ambito dell’autonomia organizzativa, didattica e finanziaria, con la conseguenza che non spetta loro il potere di promuovere e resistere alle liti; invece il rapporto di lavoro del personale scolastico sorge non con il singolo Istituto ma con il Ministero, che riveste la qualità di datore di lavoro ed assume pertanto la veste di legittimato passivo nelle cause attinenti allo stesso  rapporto di lavoro.

Con riferimento alla specifica domanda della ricorrente il giudice rileva che la legge 104/1992 attribuisce alla persona handicappata il diritto di godere di due ore di permesso giornaliero all’evidente fine di rendere lo svolgimento del lavoro, strumento in sè di realizzazione della personalità e di un ruolo sociale, il più possibile compatibile con la condizione invalidante. Ne consegue che il datore di lavoro non può rifiutare la concessione dei permessi giornalieri in presenza dei requisiti di legge, neanche adducendo esigenze organizzative o produttive. Evidenzia, il giudice, che l’autonomia del datore di lavoro trova un limite nelle esigenze, valutate come prioritarie, perché attuative dei principi di uguaglianza e solidarietà sociale, volte a consentire al lavoratore in condizione di handicap grave una flessibilità ed un alleggerimento dell’impegno lavorativo in modo da renderlo compatibile con le minorazioni. Al datore di lavoro è solo consentito di verificare l’esistenza dei presupposti di legge per la concessione dei permessi e, in relazione alla loro collocazione oraria, l’effettività delle esigenze addotte dal lavoratore. 

Nel caso di specie i motivi di salute che sorreggevano la richiesta della ricorrente di usufruire dei permessi giornalieri nell’orario dalle 12 e 30 alle 14 e 30 venivano ampiamente dimostrati dalla documentazione medico – legale prodotta e dall’esito della CTU svolta nella precedente fase cautelare.

Inoltre i provvedimenti con cui il dirigente scolastico individuava l’orario di lavoro della ricorrente risultano illegittimi per violazione dell’art,. 10, comma 2, legge 68/1999 ai sensi del quale il datore di lavoro non può chiedere alla persona disabile una attività non compatibile con le sue minorazioni. Infatti la citata norma concerne sia le modalità che i tempi di esecuzione del lavoro e la pretesa del dirigente di collocare l’orario di lavoro dalle 10 e 30 alle 14 e 30 avrebbe impedito la esecuzione delle terapie riabilitative.

Il giudice ha pertanto ritenuto le esigenze della ricorrente, non contestate nel merito, prevalenti, in virtù della normativa in materia di tutela del lavoratore disabile e della sua ratio, sulle ragioni organizzative della scuola, con conseguente accoglimento del suo ricorso e condanna del Ministero alla attribuzione dell’orario di lavoro richiesto.




Tribunali Emilia-Romagna > Permessi
Data: 03/03/2011
Giudice: Riverso
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 252/2011
Parti: Antonia P. / Poste Italiane
RICHIESTA DI TRE GIORNI DI RIPOSO RETRIBUITO PER ASSISTENZA AL CONIUGE – MANCATA INDICAZIONE DELLE PAROLE “GRAVE INFERMITA’” - IRRILEVANZA


Art. 4, c. 1, Legge n. 53/2000

Art. 3 D.M. 278/2000

 

Con ricorso al Tribunale di Ravenna una dipendente di Poste italiane SpA chiedeva che venisse riconosciuto il proprio diritto di godere dei tre giorni di riposo retribuito previsti dall’art. 4, c. 1, legge n. 53/2000, allegando il certificato medico dove si dava atto che il marito avesse bisogno di assistenza personale per intervento chirurgico e copia del modulo di richiesta prestazioni per ricovero programmato; specificando che detto intervento chirurgico sarebbe stato effettuato “presso l’Ospedale Maggiore di Bologna per I.P.B.”; individuando espressamente la ricorrenza di condizioni di gravità indicate nelle disposizioni di attuazione ex art. 4 l. 02.03.2000 in materia di congedi (“tra cui “patologie acute che determinano temporanea perdita dell’autonomia personale”); producendo attestazione di degenza dal 23.4.2009 all’1.5.2009. Il permesso veniva rifiutato dalle Poste in quanto nella documentazione presentata a sostegno non compariva la dicitura “grave infermità”, ritenuta condizione sine qua non dalle Poste.

La tesi dell’Ospedale Maggiore di Bologna - espressione di una posizione assunta ufficialmente dalle Asl  - risulta giustificata per la mancanza di criteri normativi ai fini della graduazione delle infermità e per la indisponibilità delle strutture sanitarie a valutare le certificazioni rilasciate da specialisti. D’altra parte la problematica lambisce le osservazioni del Garante della Privacy, essendo evidente che esista anche un problema di trattamento di dati sensibili.

Commenta così il Giudice: “Potrebbe sembrare una storia grottesca, se la questione non fosse sostenuta con argomenti seri che si rifanno a decreti e note ministeriali, circolari di enti previdenziali, note di AA.SS.LL.; e se questa vicenda degli anni 2010 non esprimesse una visione kafkiana o da Stato borbonico, che tende a scaricare sui cittadini inefficienze, grovigli e pasticci formalistici.  La posizione rigidamente formalistica mantenuta dalle Poste nel caso in esame pare infatti degna di miglior causa. E’ emerso invero che Poste Italiane fosse perfettamente informata della situazione di infermità del marito della ricorrente, e solo richiedeva la sua attestazione in termini di grave infermità da parte dell’ospedale, il quale però si rifiutava di qualificarla, sostenendo fosse sufficiente l’attestazione della degenza per evincere la condizione della grave infermità”.

A parere del Tribunale “la formula “infermità grave” è generale ed ellittica, e va rapportata alla ratio del permesso (temporaneo e per soli tre giorni), dovendosi intendere come tale quella che richiede la necessità di assistenza del parente per seri o gravi motivi afferente lo stato di salute del congiunto. La norma prevede infatti che: “La lavoratrice e il lavoratore hanno diritto ad un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all'anno in caso di decesso o di documentata grave infermità del coniuge od un parente entro il secondo grado o del convivente, purché la stabile convivenza con il lavoratore o la lavoratrice risulti da certificazione anagrafica”; ed il significato della norma non può essere ricavato attraverso una lettura atomistica o astraendo dalla sua finalità.

La sussistenza delle condizioni dettate dalla legge si potevano evincere nel caso in esame dal complesso documentale presentato dalla ricorrente: oltre che dalla sua richiesta (assai analitica e perciò meritevole di attenta considerazione), dalla certificazione del medico (del 01.04.2009) che evidenziava “il bisogno di assistenza per intervento chirurgico”; dall’attestazione di ricovero ospedaliero per nove giorni”.

Dunque, secondo la sentenza, tale documentazione è “qualcosa di più della stessa dichiarazione dell’esistenza di grave infermità a cui Poste annette valore dirimente. Si trattava di una documentazione più che esplicativa, più di quanto non potesse dire la dicitura grave infermità o la stessa descrizione della nuda patologia; essendo comunque evidente che la certificazione del medico sulla necessità di assistenza sottintendeva anche un giudizio sulla serietà e gravità dell’infermità (portata  ad ulteriori sviluppi ed a logiche conseguenze ai fini del diritto al permesso ); ma non valutata in astratto in relazione alla patologia di base (che allora sussisterebbe solo in pochi casi; ed in quali? forse soltanto c’è pericolo di vita?); ma infermità valutata in concreto, in relazione all’intervento chirurgico, al periodo post operatorio, alle condizioni che determina, ai postumi (anestesia, allettamento, catetere, complicanze, ecc..); alla necessità di temporanea assistenza; tutte condizioni che potrebbero prescindere dalla gravità della patologia in sé e per sé, ed in partenza” .

Non viene considerata quindi giustificata la posizione di Poste SPA ancorata al proprio documento di autoregolamentazione interno, che prescrive l’indicazione documentale della dicitura “grave infermità”, essendo, per il Giudice, “sufficiente l’indicazione della necessità di assistenza, secondo la legge, per grave infermità intesa nel senso elastico prima indicato in relazione alle peculiarità del caso concreto.”

A supporto delle proprie tesi, Poste aveva richiamato una nota del Ministero del Lavoro che riporta il concetto di grave infermità al genus dei gravi motivi di cui all’art. 2, comma 1 lett. d D.M. 278/2000 (lett. d, nn. 1 – 4); inoltre, la stessa nota ministeriale, richiama l’art. 3 del D.M. secondo cui presupposto indefettibile per comprovare il diritto alla fruizione del permesso è la presentazione della certificazione rilasciata dal medico specialista attestante la gravità della patologia dei soggetti per i quali viene prestata assistenza (come prescritto anche dall’INPS nella circolare n. 32/2006).

Ma anche questi rilievi vengono ritenuti  infondati:

“In realtà, né la legge né il D.M. specificano quali siano le gravi infermità ai fini dei tre giorni di permesso in discussione. Al contrario, la legge distingue la documentata grave infermità d